venerdì 5 dicembre 2008

Per me acqua & gin, grazie.

Ci sono luoghi dove i miei pregiudizi sulla mediocrità della gente non trovano una conferma: trovano una standing ovation ad accoglierli.
Sono luoghi più comuni delle mezze stagioni e del peggio che era meglio, sono sale d'attesa, ascensori, parrucchierie e fermate dell'autobus.
Sono luoghi in cui spesso è bene approcciare ai propri simili solo per beneficio d'inventario.

Ultimamente ho avuto modo di scovare interessanti ricettacoli di superficialità anche negli spogliatoi della piscina, posto che non frequentavo dall’età di 3 anni e che ho avuto modo di riscoprire grazie al mio recente impegno sportivo. (Per amor del vero, su queste ultime parole tendo verso l’alto l’indice e il medio di entrambe le mani e li piego più volte con rassegnazione).

In breve.
Sono lì che mi cambio i vestiti indossando il mio costume in fibra di titanio, quando colgo la conversazione delle mie vicine di armadietto per puro caso. (Ovviamente, su queste ultime parole tendo verso l’alto l’indice e il medio di entrambe le mani e li piego più volte con fare innocente).

Stupida numero 1:
“Vuoi sentire l’ultima di mio marito? Ieri mi chiama all’improvviso e mi dice che aveva una riunione straordinaria e non poteva andare a prendere il bambino a scuola. Ho dovuto venire via dall’estetista di corsa con la french a metà.”

Stupida numero 2:
“Ah beh, se può consolarti ti dico questa. Ieri sera chiedo a mio marito di apparecchiare il tavolo, cosa che non si degna mai di fare, e sai cosa mi dice lui? Che non poteva perché non sa dove sono le cose. E poi uno si chiede perché la gente divorzia.”

Su queste ultime parole non ho teso le dita né le ho piegate, semplicemente ho ragionato sul fatto che oggigiorno fare l’avvocato divorzista può essere più redditizio che aprire un sexy shop fra Sodoma e Gomorra.

A quel punto, rinchiudo le mie amare riflessioni sul genere umano nella cuffietta da alieno di film di fantascienza anni ‘70 e mi reco mestamente verso la vasca, dove mi attende un altro folto squadrone di personaggi inquietanti.

C’è la ragazza dagli orecchini di perla, una donnetta ingioiellata a forma di piccione con le narici deformate dalla costante puzza sotto il naso, che frequenta il corso di acquagym con la mamma, anche lei con gli stessi gioielli, le stesse narici e la stessa forma.

C’è la donna che sembra un uomo, talmente muscolosa, tonica e rabbiosa nel raggiungere i massimi livelli di agonismo che ogni tanto immagino di vederla crollare in pezzi e riformarsi dalla fusione dei suoi frammenti come Terminator.

C’è la coppia delle giovani punk, troppo incazzate col resto del mondo per potergli dare la soddisfazione di interagire con esso. Che tra l’altro, mi risultava che un tempo i punk fossero più impegnati a staccare teste ai pipistrelli e a farsi di crack che a tonificarsi le chiappe (o tempora o mores!).

C’è la venusiana, una donna pallidissima dai giganteschi occhi celesti che ama molto raccontare con dovizia di particolari le fasi del suo ciclo mestruale.

E il resto della classe, chi più chi meno, rientra in questa media di velata assurdità.

Finalmente inizia la lezione.
E mentre mi dimeno come un tacchino tarantolato al ritmo di pessima disco dance, penso che in fondo sono le situazioni come questa a renderci tutti così banali, così fastidiosi, e che se le persone vincessero la paura di rompere gli schemi e si lasciassero andare questo pianeta sarebbe immensamente più divertente.

Tutto ad un tratto…accade l’inaspettato. Arriva quell’insignificante eppure esplosivo imprevisto che sgretola i binari delle abitudini e consente a tutti di sentirsi euforici e trasgressivi. (E qui, forse, dovrei di nuovo tendere le dita e piegarle. Ma anche no.)

All’improvviso, nessuno sa perché, tutte le luci si spengono. La stanza rimane illuminata solo dai led rossi dell’enorme orologio sulla parete, che mi permettono di scorgere le espressioni spaesate delle mie compagne di sventura tramutarsi lentamente in sorrisi complici.

Mi butto sott’acqua ad occhi chiusi ridendo fra me e me, e resto seduta sul fondo un paio di secondi ad assaporare questa sensazione di frivolezza e di soddisfazione.
Quando riemergo, non credo ai miei occhi.Dal soffitto pendono lampade di carta crespa colorate e a bordo vasca palme nane circondano un bancone di canne di bamboo, dove l’insegnante sta pestando la menta per il mojito.

Sulle note di Long Train Runnin’ dei Doobie Brothers remixata da un mentecatto, la ragazza dagli orecchini di perla si scatena nelle danze, seguita da sua madre che si agita dimenando il sederone da piccione.
In acqua, le due giovani punk cantano a squarciagola con le altre compagne sventolando in aria pinte di rhum e cola. Il coro viene interrotto dalla donna che sembra un uomo, che si tuffa a bomba nel centro della piscina provocando spruzzi che arrivano al soffitto e uno scroscio di risate sguaiate.

La venusiana colta da un raptus si strappa il costume e al grido di “possiamo divertirci anche in quei giorni” stappa una bottiglia di spumante e la rovescia in testa alla ragazza dagli orecchini di perla che alza le braccia al cielo e lancia un urlo liberatorio che spazza via la puzza che albergava da anni sotto il suo naso.

Io osservo in disparte, beandomi della scena che si svolge di fronte a me e addentando una fetta di cocco arrivata da chissà dove.

Ad un tratto sento la musica sfumare, le immagini si offuscano, e un brusco “arrivederci alla prossima lezione” mi riporta alla realtà, come quando in discoteca finisce la serata e tu in mezzo alla pista ti senti improvvisamente un totale deficiente che balla in una stanza piena di deficienti. La luce è tornata da un pezzo.

Mi guardo intorno e incontro i soliti sguardi appannati e grigi, ma sorrido perché ora dentro quegli occhi riesco a vedere una fiammella di felicità, uno shining che illumina l’anima delle persone senza però spingerle a massacrare la famiglia con un’accetta.

Credo che in fin dei conti la mediocrità che a volte mi trovo a giudicare dal pulpito non sia altro che una specie di cappello troppo stretto che la vita ci mette in testa e che ci impedisce di pensare, e che noi ci ostiniamo spesso a tenere ben saldo in testa più o meno consapevolmente.

Esco dall’acqua pensando che sarebbe bellissimo se bastasse un blackout per convincere la gente a smettere di avere paura di mostrarsi agli altri per quello che è.

Ma so che non posso cambiare la gente e che, anche oggi, l’unica cosa che posso fare è correre a fare la doccia prima che arrivino quelle che se la fanno senza mutande, perché mi fa schifo.