mercoledì 4 novembre 2009

Si stava meglio quando si stava meglio.

Ore 19.30, consueto rientro in metropolitana.
Un recente ritrovato tecnologico consente al buon vecchio Nick Drake di sussurarmi all’orecchio che è un povero vagabondo e nessuno se lo fila. Contemporaneamente, la mia tutt’altro che recente tendenza alla dissociazione mentale mi regala l’immagine delle due vecchine sedute di fronte a me che intonano appassionatamente il chorus OH POOR BOOOOY tutte gonfie di pesanti belletti, riccioli e lamè.

Ed ecco qua, com’è e come non è, mi trovo di nuovo a pensare.
In quest’ultimo periodo ho pensato, pensato tanto, pensato troppo.
Ho pianto, pianto tanto, pianto troppo.

Ho lasciato accidentalmente aperto il mio cuore come si fa col cassetto dei calzini. Nella migliore delle ipotesi, quello che accade è che tutto si incasina e non sarai mai più in grado di comporre un paio di pedalini anche solo vagamente simili fra loro. Alla più brutta, ti alzi di notte per fare pipì e ci sbatti contro al buio spezzandoti una tibia.
Il risultato è che ogni mattina ti svegli pensando che l’unica soluzione sia convertirti ad un qualsivoglia culto politeista che perlomeno ti consenta maggiore creatività nelle blasfemie.

Poi arriva il momento in cui non ne puoi più di stare lì in piedi sulla soglia della tua vita con quella faccia ebete, i calzini spaiati e gli stinchi sanguinanti.
Allora ti guardi allo specchio, ti fissi profondamente negli occhi, e con tutto l’affetto possibile ti rivolgi a te stesso come ad un novello Lazzaro esclamando “ALZA QUEL CULO MOSCIO E RIMETTITI IN CARREGGIATA, BESTIA!”

Certo, ci sono momenti in cui la quantità di sterco che ti piove in testa è talmente mastodontica da destare in te il sospetto di star espiando le colpe di un’esistenza precedente. E se tanto mi da tanto a volte penso che il mio karma sia l’eredità di qualcuno che stuprava cuccioli di Labrador e demoliva orfanotrofi per fare spazio a locali di peep show sadomaso.

Ma non bisogna mai perdere di vista quelle due stramaledette dita d’acqua che rendono mezzo pieno il bicchiere. Insomma, c’è sempre un plebiscito di sagge nonne pronto a ricordarti che in fin dei conti i veri problemi sono altri.

E anche quando i problemi che sono altri finiscono per capitare a te, ti salva la certezza che ci sarà sempre e comunque qualcuno in giro per il mondo che se la passa peggio. Non so, qualche povero stronzo che ha distrutto la macchina mentre andava a rinnovare l’assicurazione scaduta, che ha perso entrambe le mani dieci minuti prima del suo appuntamento con Miss Chiappe Sode 2009, che si è presentato vestito da Lenny Kravitz a quella che credeva una festa di carnevale e che invece era un raduno del Ku Klux Klan.

E se fatalmente quel povero stronzo sei proprio tu…beh, allora hai davvero tutto il diritto di deprimerti e di berti quello che resta nel tuo bicchiere sperando di strozzarti.

martedì 22 settembre 2009

E' cosa buona e giusta.

mercoledì 5 agosto 2009

Ansia.

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Survival Kit

Ognuno dovrebbe vivere con la certezza di essere indispensabile per qualcuno.
Si può convivere con la consapevolezza di non essere il fulcro del proprio mondo, ma non con l'idea di essere nient'altro che un treno di passaggio che lascia dietro sé soltanto la lieve nostalgia della partenza.

Ci sono momenti in cui è necessario essere in grado di farsi da parte e chiudere desideri e sofferenze in cassaforte, e momenti in cui ci si aspetterebbe di ricevere in cambio la stessa quantità di attenzione che si dedica a chi ci circonda.

La solitudine mi fa paura,
la paura mi rende fragile,
la fragilità mi rende vulnerabile.

"Nessun uomo è un isola". Bellissimo pensiero, che condivido in pieno.
Ma allora qual è il motivo per cui mi sento come un noleggiatore di pedalò nel triangolo delle Bermude?

Cercare sé stessi correndosi dietro all'impazzata è stupido quanto affannarsi nella ricerca degli occhiali che hai in testa.
Basterebbe soltanto avere il coraggio di guardarsi in faccia e di mostrarsi per quello che si è.

PUNTO

E

BASTA.

lunedì 22 giugno 2009

L'amor scortese.

Ore 19.00. Rientro dall'ufficio. Sono in autobus.

Inutile ribadire ulteriormente quello che ormai è un dato di fatto, ossia che i mezzi pubblici rappresentano un magico parco dei divertimenti per tutti gli appassionati della stamberia umana e delle sue stupefacenti declinazioni.

Ma comunque.

Seduta al mio posto, assisto mio malgrado alla telefonata di un esemplare di tamarro medio postadolescente con quella che, senz'ombra di dubbio, è la sua fidanzata.

Un dialogo talmente melenso, e soprattutto denso di epiteti sdolcinati, da provocarmi ad un tratto l'istinto di portarmi la mano al naso per verificare che quello che sta uscendo dalle mie narici non sia cioccolato fondente.

"Amore, ciao! Come stai amore? Come dici tesoro? Non sento amore. Ah, ecco ora ti sento amore. Cos'hai fatto oggi amore? Tutto bene tesoro? Ah, davvero amore? Ma dai, amore. Non ci credo tesoro. Veramente amore? Non so cosa dire amore, mi dispiace amore. Ma amore tu cosa hai risposto tesoro? Beh hai fatto bene amore, anche io avrei fatto così amore. Ma pensa tu, tesoro. E' pazzesco amore. Sai cosa ti dico amore? Tuo padre è proprio un figlio di puttana".

Il violinista immaginario, che mi figuro accompagnare la conversazione con una melliflua melodia, sviene rovinosamente vittima di un inesorabile colpo apoplettico cacciandomi l'archetto immaginario in un occhio nient'affatto immaginario.

A questo punto mi chiedo (e con ciò, faccio pubblica ammenda per conto del retrogrado e illuso stilnovista che alberga dentro me): com'è possibile che quello che un tempo faceva rima con CUORE, oggi faccia rima con TUO PADRE E' UN FIGLIO DI PUTTANA?

E' forse questo il motivo per cui tutte le storie che un tempo finivano con "e vissero felici e contenti" oggi finiscono dall'avvocato o nel letto di un terzo incomodo?

O forse si tratta solo di un habitus tipico del tamarro medio postadolescente su cui ora io mi accanisco perchè ho le palle girate e tanto bisogno di andare in vacanza?

Non lo so.

Ma una cosa è certa: non c'è più rispetto, come cantava un noto musicista italiano che non nominerò perchè per oggi di Zucchero ne ho già assunto a sufficienza.


mercoledì 29 aprile 2009

C'è un virus! Virus! Vi-vi-virus!



Nella vecchia fattoria
c'è una nuova epidemia.
Prima le mucche in preda a pazzia,
poi il pollame va in avaria,
adesso il porco è in malattia.

Si diffonde la fobia,
un po' è prudenza, un po' è follia,
il mercato è in anarchia
e tutta la carne si butta via.

Nella vecchia fattoria
c'era grande carestia,
e ora il povero zio Tobia
batte sotto casa mia.

mercoledì 22 aprile 2009

Quarantadue euro.

Ci sono cose che superano il tempo e lo spazio.
Sono capitoli che hanno un inizio, ma che non troveranno mai una fine.
Perchè una lacrima di emozione versata in un buon bicchiere di prosecco è più immensa di una vita intera.
Cosa importa invecchiare e morire, sapendo che domani ci saranno gli stessi quattro accordi e quelle stesse parole a farti girare la testa?
Io prenderò la mia strada, e tu la tua.
Ma ogni giorno sarò capace di sorridere perchè saprò di trovare ad ogni angolo il pensiero di te.
Boa sorte!

lunedì 30 marzo 2009

Lo stronzario - Vol. 2 : "All'arrembaggio"

Lunedì mattina in autobus.
Donna sulla trentina con trucco da circense conversa con amica non più sulla trentina e con una bizzarra acconciatura anni '80.
"Mi sono decisa finalmente a comprare un appartamento. Non che prima non potessi permettermelo economicamente, ma non volevo rischiare...lo sai meglio di me, oggigiorno gli uomini se sanno che hai una casa di proprietà ti saltano addosso e non ti mollano più".


Temeraria, non c'è che dire.

Ma cara ragazza mia, dammi retta: dormi sonni tranquilli.
Che con queste premesse sono certa che manco uno squatter si avvicinerà al tuo portone.

mercoledì 25 marzo 2009

La televisione italiana in nuce.


Sono le sette di sera.
Me ne sto seduta sui seggiolini lungo la banchina della metropolitana, aspettando il treno che mi porterà a casa.
Ho un debole per questi questi non luoghi, perchè solitamente vi si fanno un sacco di incontri socialmente stimolanti.

E infatti.

Dopo poco un anziano signore si avvicina e si siede accanto a me, e a una prima occhiata inizio a sospettare che la sua lucidità mentale abbia affrontato con fatica l'ingiuria degli anni. Perdendo clamorosamente ai supplementari.

Mi rendo conto che i miei sospetti sono fondati dapprima quando mi accorgo che, con estrema nonchalanche, sfoggia sul labbro superiore un enorme pezzo di qualcosa che è stato masticato troppo tempo prima da giustificare la sua presenza lì, ma la conferma arriva quando inizia a leggere e commentare a voce altissima quella che sembra essere la guida tv di un quotidiano, o perlomeno così mi pare di intuire visto che tutto ciò avviene in strettissimo dialetto milanese.

All'improvviso si volta e si rivolge a me, con un tono sorprendentemente più pacato di quello che usa per parlare con sé stesso. Al che mi viene da pensare che sia cosciente almeno del fatto che per dialogare con il suo cervello, presumibilmente parcheggiato dalle parti di Urano, sia necessario un volume ben più alto del normale.

- La me scusi siorìna, ma lei lo guarda l'ICS FACTOR?

E io:
- Sì, ogni tanto.

E lui:
- Ma cosa l'è l'ICS FACTOR?

Io:
- Mah, una specie di gara di canto.

Lui:
- Ah, una gara di canto. U capì. E invece AMICI DI MARIA? Cosa l'è che è?

Io:
- Beh, praticamente la stessa cosa.

Lui mi guarda con aria stupefatta, si gratta la testa con forza e poi mi fa:
- Ma come la stessa cosa?

Io:
- Eh.

Lui, allibito, consulta nuovamente la guida tv sperando invano in un'illuminazione, e poi con espressione ancora più incredula, esclama:
- Ma come? Ma fanno due robe uguali? La stessa sera?!

Io:
- Eh...

A quel punto l'anziano butta via il giornale, si picchia con decisione i palmi delle mani sulle ginocchia, e in preda allo sconforto commenta:
- Roba de mat.

Ho pensato che nemmeno Aldo Grasso sarebbe stato capace di riassumere in modo tanto efficace l'essenza della televisione italiana.

venerdì 20 marzo 2009

Guess who's back?


"Chi non muore si rivede!", come disse l'uomo di spirito incontrando l'amico, unico superstite di un incendio in cui ha perso entrambi i bulbi oculari.

In gran forma, rieccomi qua. Dopo un lungo silenzio torno a scrivere.
Non che non avessi niente da dire, anzi.
Semplicemente il mio cervello era talmente sopraffatto dal turbinio degli eventi che qualsiasi frase avessi buttato giù difficilmente sarebbe stata di senso compiuto.Più o meno come adesso.

Ma domani è il primo giorno di primavera e questo mi fa sentire una forza dentro che neanch'io so com'è, e ho voglia di condividere un po' del pandemonio che ho in testa con i miei fedeli lettori.


Tutti e due.


(Ciao mamma, ciao papà).


Dicevo, rieccomi qua.
Nuova città, nuova casa, nuovo lavoro. Tutto nel giro di un mese.
Niente di più rilassante per una persona come me, così mentalmente elastica da soffrire per una settimana di labirintite se si cambia la disposizione dei mobili in salotto.


Eppure... c'è stato un singolo momento in tutti questi giorni, che corrono uno dietro l'altro ad una velocità forsennata come fossero gatti che inseguono un topo di 20 chili avvolto nel prosciutto, c'è stato un istante in cui tutto si è congelato: è stato quando qualcuno mi ha chiesto il significato del mio tatuaggio.

Improvvisamente mi sono ricordata che quel tatuaggio, quella donnina spensierata che danza allegramente sotto il sole (e poco sopra il mio malleolo), quella signorina tarantolata che si agita nel suo gonnellino di banane (e sopra il mio malleolo)...lei ce l'ha eccome un significato, e pure grosso. E mi sono sentita molto orgogliosa di avere una storia tatuata addosso, e non come molti il nome di un "amore" che andrà scartavetrato due mesi dopo perchè scopertosi omosessuale, o un'incomprensibile scritta in coreano antico, che ti condanna a convivere ignaro per il resto dei tuoi giorni con qualcosa tipo "CULO CHI LEGGE"scritto a caratteri cubitali sulla schiena.

Io no. Io lo so bene cosa rappresenta quel disegno bruttarello. Mi ricorda quando, in un attimo di grande felicità, mi sono seduta a pensare e ho realizzato che in tutti questi anni anche io, a modo mio, ho imparato un sacco di cose.

Ho imparato che nella vita non bisogna mai e poi mai accontentarsi, soprattutto se non si è davvero contenti di quello che si ha.

Che non bisogna mai essere schiavi di nessuno, tantomeno di sé stessi.

Che se qualcuno cerca di farti credere di essere una nullità, 99 su 100 quel qualcuno non ha capito un cazzo.

Che la vita è spaventosamente bella ed emozionante come l'assolo di chitarra di Hotel California, e non devi dubitarne neanche quando ti sembra dolorosa e senza senso come una canzone di DJ Francesco.

Che se lavi i maglioni a 90°, da quel giorno potrai farli indossare soltanto al tuo cane.

Che un vaffanculo detto col cuore non sempre è una soluzione, ma molto spesso è la risposta giusta.

Io per imparare questo e molto (?) altro ci ho messo un botto, e ho fatto una fatica che nemmeno Cristo nell'orto degli ulivi. E porca vacca se me lo voglio ricordare.
E innorridisco quando molti miei coetanei paventano l'avvicinarsi dei trenta col desiderio nostalgico di ritornare all'adolescenza.

Ma stiamo scherzando?! Sarebbe come andare da Frodo della Contea, che è lì pronto a buttare finalmente il suo anellino dentro il vulcano del monte coso, dopo essersi fatto un deretano come una scimmia per arrivarci, battergli su una spalla e dirgli "Ehi, piccolo scherzo della natura!Aspetta!Perchè non torni indietro, così poi ti tocca rifare da capo tutto il calvario che ti sei sparato per venire qui?"

Chiaro. A quel punto molto probabilmente il caro Frodo, risaputamente dotato di molti peli sui piedi ma non altrettanti sulla lingua, senza dubbio risponderebbe qualcosa che in elfico suona tipo "SUCA".


L'unica condizione a cui potrei voler tornare indietro sarebbe rifare tutto quello che ho fatto, ma con la consapevolezza che ho adesso.
Probabilmente non cambierei quasi nulla del mio passato, ma di sicuro sarei molto meno parsimoniosa nell'uso di quei vaffanculo detti di cuore, quelli che non sempre sono una soluzione ma troppo spesso sono la risposta giusta. E, soprattutto, una gran soddisfazione.

martedì 3 febbraio 2009

Sogni

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giovedì 22 gennaio 2009

Lo Stronzario - Vol. 1

Stamattina un cliente mi ha regalato questa chicca:

"Secondo me la grafica del sito dovrebbe essere pulita, in linea con lo stile del nuovo amministratore delegato. Non so se l'avete già conosciuto, lui è uno molto pulito."

Mi sono detta che quando mi chiederanno un sito lercio farò in modo di tenermi alla larga dall'amministratore delegato di turno.

mercoledì 21 gennaio 2009

Io ci voglio credere.

Sono seduta in macchina, sotto la pioggia battente.
Ascolto musica fumando la mia solita sigaretta delle 18.50, e guido verso casa.
Mentre dalla radio Paul McCartney mi racconta che ieri tutti i suoi problemi sembravano così lontani, senza preavviso un pensiero mi attraversa il cervello.

La cultura è davvero una cosa meravigliosa.

E non parlo di cultura in senso aulico, intesa come altisonante privilegio destinato ad un'oligarchia di professoroni.
Mi riferisco a quell'infinitamente più umano impulso di curiosità che ti fa amare profondamente quello che leggi, quello che vedi, quello che ascolti, e come una potentissima droga ti spinge a volerne sapere sempre di più.

Non c'è niente di più appagante del momento in cui riesci a isolare nella realtà che ti circonda una fugace connessione, una sinapsi che rievoca le righe di una pagina sfogliata, una canzone, la sequenza di un film o le parole che davano vita al racconto di un amico come pennellate sapienti sulla tela di un bel quadro.

E' una scossa elettrica che rianima qualcosa di cui ignoravi l'esistenza dentro di te e che invece era vivo e vegeto, e semplicemente sonnecchiava nella tua testa.
Un po' come il mio cane che esce dall'apparente letargo con uno scatto alla Pietro Mennea quando qualcuno nel raggio di dieci chilometri scarta un formaggino.

Ad esempio.
Non so se avete presente quelle favolose coincidenze per cui ci si imbatte per caso in qualcosa di cui si è venuti a conoscenza solo pochissimo tempo prima. Un autore, un nome, una vecchia canzone, un fatto storico.
Ebbene, vi svelo un grandissimo segreto. Queste sono coincidenze tanto quanto lo è il fatto che io sia sempre sotto la doccia quando telefona qualcuno che mi sta sulle palle.
Di casuale non c'è proprio niente. Quelle cose sono sempre state lì, solo che noi non ci avevamo mai fatto caso.

E credo sia questo uno dei motivi che ti fanno apprezzare di essere al mondo e nel mondo, il gusto agrodolce che ti lascia la consapevolezza di quello che hai imparato unita all'immensità di ciò che ti resta ancora da scoprire.

Paul cerca di interrompere le mie riflessioni dicendomi che ora ha bisogno di un posto dove nascondersi. Forse si è accorto che più passano gli anni più assomiglia ad una vecchia befana.

E intanto mi ronza in testa l'idea che questo meccanismo a moto perpetuo di interesse, stupore e comprensione possa funzionare allo stesso modo anche nei rapporti fra le persone.

Non ci interessiamo abbastanza alla gente con cui dividiamo questo pianeta, dovremmo essere curiosi di sapere chi c'è dietro il volto di ognuno, anche dietro quello inespressivo di chi fa finta di non vederci per non essere costretto a salutarci.
Tutti hanno una storia, e quella storia, in quanto tale, merita di essere raccontata.
Basta un assaggio reciproco del piccolo universo che nascondiamo per far nascere in noi il bisogno di parlare e di ascoltare.

In tutto questo credo fermamente.
E, come un novello Don Chisciotte, voglio battermi all'ultimo sangue contro l'enorme mulino a vento dell'ammuffimento culturale, che trasforma la sesta di reggiseno di una cerebrolesa del Grande Fratello in un valido argomento di conversazione.



lunedì 19 gennaio 2009

Buon lunedì

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mercoledì 14 gennaio 2009

Sending out an S.O.S.

Mai come ora vorrei che il limbo fosse soltanto uno spensierato ballo di gruppo utilizzato come espediente alle feste per ridicolizzare gli invitati ubriachi e distrarli dal fatto che sono finiti gli alcolici.

E invece no.
Per me "limbo" in questo momento non è altro che l'unica e impietosa definizione atta a descrivere la condizione in cui mi trovo a vivere attualmente.

So dov'ero, so dove sono, non so dove sarò né cosa farò.

Non che io non apprezzi l'eccitante imprevedibilità dell'esistenza umana, anche se spesso può essere piacevole come un cactus che spunta all'improvviso nel bidet un istante prima dell'uso, è solo che a questo tipo di situazioni il mio organismo reagisce in un unico modo: generando ansia a ritmo incessante.

E per quanto mi faccia piacere che, grazie al mio contributo economico, i produttori di valeriana, tabacco e Maalox abbiano potuto vedere laurearsi i loro figli, ammetto che a volte un po' di razionalità e di nervi saldi renderebbero tutto molto più semplice.

Inutile precisare che l'ipertensione cronica è inoltre simpaticamente permeata da un alone di pessimismo cosmico in grado di raggiungere livelli da record.
Per rendere l'idea: se fossi un prestigiatore eviterei di guardare nel cilindro per paura di trovare il coniglio morto.

Ad ogni modo, devo essere sincera.
Io non so quale recondita area del mio cervello continui a pulsare mentre il resto del corpo ammuffisce in uno stato di catatonico negativismo, ma da qualche parte dentro di me sopravvive la convinzione che tutto andrà per il verso giusto, e se qualcosa non va vuol dire che era destino.

Peccato che quest'ultima affermazione faccia rabbrividire la mia proverbiale scaramanzia, costringendomi ad andare in giro con le mutande al contrario almeno per altre due settimane.

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mercoledì 7 gennaio 2009

Fiaba di Natale (postuma)

E' la sera della Vigilia.

Lungo le strade, le finestre illuminate svelano l'intimità delle famiglie che si riuniscono per condividere e celebrare la magia del Natale.
C'è chi appresta con cura la tavola per l'imminente cenone; c'è chi riabbraccia i propri cari giunti in visita, c'è chi sistema gli ultimi regali sotto l'alberello scintillante; c'è chi sfida il proprio partner a un videogioco demenziale aspettando di lanciarsi su un ammasso di cibi e alcolici gettati a caso sul tavolo.

Inutile specificare che questi ultimi esemplari siamo io e il mio fidanzato.
Tranne che per quella faccenda delle finestre illuminate. Perchè le nostre si affacciano su un muro.

Insomma.
La sera della vigilia eravamo lì. Io, il mio fidanzato, e Gigi il Cane.
Ci godevamo una piccola festicciola nel confortevole tepore della nostra dimora.

Seduti intorno al tavolo, ci crogiolavamo nell'atmosfera conviviale e affettuosa che un desco imbandito con amore riesce a creare, anche quando gli astanti sono numerosi come vegani alla sagra della porchetta.

Immersa catatonicamente nella degustazione delle vivande e soprattutto delle bevande, d'un tratto vengo attirata dal bizzarro accostamento che si presenta davanti ai miei occhi.
Un untissimo salame e del salmone affumicato giacciono inerti di fronte a me, l'uno di fianco all'altro.
La mia mente, avviluppata da una coltre di zuccheroso sentimentalismo natalizio, inizia a vagare a ritroso alla ricerca del senso della vita e bla bla e devo smettere di bere prosecco.

Condivido le riflessioni alcoliche col mio fidanzato.
"Secondo te il maiale e il salmone si sarebbero mai immaginati di stare un giorno vicini sullo stesso tavolo? Cioè, voglio dire. Il maiale vive nella fattoria. Il salmone nel fiume. Dubito che avrebbero mai pensato di potersi incontrare un giorno."

Lui:
"Dubito."

Io:
"Pensa, magari invece si erano conosciuti per caso... Che ne so, magari il maiale, gironzolando in cerca di ghiande nella foresta, si è imbattuto in un fiume e avvicinatosi per specchiarsi nell'acqua ha incontrato il salmone!".

Lui:
"Non credo che i maiali siano in grado di riconoscere la propria immagine riflessa."

Io:
"E pensa! Magari hanno chiacchierato, si sono scambiati occhiate di complicità, hanno scoperto di avere tante cose in comune, e si sono innamorati!"

Lui:
"Certo."

Io:
"E si sono amati clandestinamente affrontando gli ostacoli creati dalla diversità e dai pregiudizi razziali!"

Lui:
"Chiaro."

Io:
"E mentre il loro sentimento diventava ogni giorno più immenso e incontenibile, cercavano di vivere con la massima intensità ogni attimo trascorso insieme, sapendo che il loro rapporto non avrebbe avuto un futuro..."

Lui:
"Toccante."

Io:
"E alla fine...fatalmente arrivò l'inverno, ed entrambi dovettero affrontare il destino crudele sacrificando la loro vita per arricchire il menu dei cenoni di Natale. Non sapevano però che la potenza dell'amore li avrebbe riuniti dopo la morte, come Romeo e Giulietta, proprio qui, sul nostro tavolo."

Lui:
"Pazzesco."

Io:
"Oddio. Per colpa nostra la storia finirà in modo tragico. Tu stai mangiando il salmone, io il salame. Ora dovranno separarsi di nuovo. Tutto per colpa nostra! CAPISCI? E' terribile."

Lui:
"Potremmo fare la cacca nello stesso posto."

Adoro le storie a lieto fine.